La disciplina sull’utilizzazione agronomica dei reflui: il Decreto 25 febbraio 2016

Disciplina sull’utilizzazione agronomica dei reflui: negli ultimi anni una marea di norme che non hanno di fatto cambiato la situazione

La situazione della disciplina sull’utilizzazione agronomica dei reflui fino al 2016

Negli anni 90 la disciplina sull’utilizzazione agronomica dei reflui era regolata dalle “Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari”, di cui alla legge n. 574/1996, e dai “Criteri e le norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari”, di cui al DM 6 luglio 2005. Successivamente, all’interno del testo unico ambientale (D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) l’art. 112, nel riprendere sostanzialmente quanto già affermato sette anni prima (D.Lgs n. 152/1999), ha disciplinato in termini generali l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, delle acque reflue provenienti da determinate aziende , rinviando ad un futuro decreto – che il MIPAAF avrebbe dovuto emanare di lì (siamo nell’aprile del 2006) a 180 giorni – la disciplina relativa ai criteri e alle norme tecniche generali (allora parzialmente regolamentati dal quasi coevo DM 7 aprile 2006), “garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati ed in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del presente decreto”. A distanza di quasi dieci anni, il MIPAAF ha finalmente adottato tale decreto, il DM 25 febbraio 2016 che, nel mandare in pensione il vecchio DM 7 aprile 2006, ridefinisce la normativa o, per meglio dire, la integra qua e là.

Una panoramica sul decreto 25 febbraio 2016

Il decreto 25 febbraio 2016 disciplina i criteri e le norme tecniche generali per:
a) l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue; b) la produzione, le caratteristiche di qualità, e l’utilizzazione agronomica del digestato.

Il MIPAAF, inoltre:
• fa un rinvio – esattamente come nell’abrogato DM 7 aprile 2007 – alla disciplina di “dettaglio” delle Regioni, che entro fine estate dovranno disciplinare tali attività di utilizzazione agronomica, o in ogni caso adeguare le discipline esistenti (anche prevedendo discipline più restrittive, in ragione di particolari situazioni locali e sulla base delle indicazioni delle Autorità di bacino competenti), garantendo la tutela dei corpi idrici e del suolo, ai sensi della normativa vigente;
• ribadisce che l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque reflue e del digestato è esclusa dall’ambito di applicazione delle disposizioni relative alla gestione dei rifiuti, ma solo “qualora siano rispettati i criteri generali e le norme tecniche di utilizzazione agronomica disciplinati” nel decreto;
• fa salva la normativa concernente l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, “per quanto non previsto nel presente decreto, resta disciplinata dalla legge 11 novembre 1996, n. 574, e dal decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 6 luglio 2005 ”;
• accorpa nelle disposizioni generali le discipline relative alla comunicazione – che le aziende che producono e/o utilizzano effluenti di allevamento, acque reflue e digestato destinati all’utilizzazione agronomica devono presentare all’autorità competente – e al Piano di utilizzazione agronomica, che nel DM 7 aprile 2006 erano duplicate (a seconda della vulnerabilità o meno delle zone prese in considerazione), disciplinandole un po’ più nel dettaglio;
definisce la documentazione di accompagnamento al trasporto e disciplina le regole sull’utilizzazione agronomica in zone vulnerabili da nitrati sulla falsa riga di quelle già previste dal vecchio DM, salvo integrare la prima in relazione al trasporto dello stallatico e la seconda in relazione ad alcune modalità temporali di utilizzazione agronomica, alla facoltà delle Regioni di prevedere un’organizzazione del periodo di divieto diversa , ai controlli ;
• detta nuove disposizioni in materia di sottoprodotti.

Quando il digestato può essere qualificato come sottoprodotto

In particolare, il DM, prendendo le mosse da quanto stabilito dall’art. 52, comma 2-bis del D.L. n. 83/2012 , ha dettato i criteri per la qualificazione del digestato come sottoprodotto. In estrema sintesi, il digestato è sottoprodotto se:
a) è originato da impianti di digestione anaerobica autorizzati seconda la normativa vigente, alimentati esclusivamente con materiali e sostanze di cui all’articolo 22, comma 1;
b) è certo che sarà utilizzato a fini agronomici da parte del produttore o di terzi;
c) può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale ;
d) soddisfa i requisiti del nuovo DM, e, in particolare, quelli individuati all’allegato IX, nonché le norme igienico-sanitarie, di tutela ambientale comunque applicabili.

L’utilizzazione agronomica

La parte più corposa del DM è dedicata all’utilizzazione agronomica:
a) dei reflui di allevamento, che deve avvenire in conformità ai fabbisogni quantitativi e temporali delle colture;
b) delle acque reflue, che è finalizzata al recupero delle sostanze ammendanti e fertilizzanti contenute nelle stesse, ai fini dello svolgimento di un ruolo utile per le colture;
c) del digestato.

In particolare, il DM disciplina:
• le caratteristiche e le modalità di impiego del digestato prodotto da impianti aziendali o interaziendali di digestione anaerobica alimentati esclusivamente con specifici materiali e sostanze e destinato ad utilizzazione agronomica;
• le modalità di classificazione delle operazioni di disidratazione, sedimentazione, chiarificazione, centrifugazione ed essiccatura, filtrazione, separazione solido liquido, strippaggio, nitrificazione, denitrificazione e fitodepurazione;
• le condizioni al ricorrere delle quali il digestato è equiparabile, per quanto attiene agli effetti fertilizzanti e all’efficienza di uso, ai concimi di origine chimica.
Ciò che possiamo constatare, 10 anni dopo, è che  – salvo le novità relative all’utilizzazione agronomica del digestato – sostanzialmente non è cambiato nulla.

In ogni caso, sono molteplici i margini di manovra lasciati alle Regioni, e molti – di conseguenza – potrebbero essere i problemi relativi alla disparità di trattamento fra aziende che producono e/o utilizzano effluenti di allevamento, acque reflue e digestato destinati all’utilizzazione agronomica in Regioni diverse.
Inoltre si evidenziano:
il contorto riferimento al DPR n. 59/2013 sull’autorizzazione unica ambientale.
• un interrogativo relativo alle acque di vegetazione dei frantoi oleari – materia prima per la produzione del digestato – per le quali l’art. 2, comma 4, prevede un rinvio alla legge n. 574/1996 e al DM 6 luglio 2005, “per quanto non previsto nel presente decreto”; non si poteva cogliere questo sia pur tardivo passo del ministero per provvedere ad una razionalizzazione normativa in un unico corpus?

Conclusioni

Il risultato finale è una disciplina per niente semplice, davanti alla quale gli operatori del settore possono trovarsi inadeguati. Abbiamo evidenziato in arancione i punti dove la normativa prevede specifici obblighi in campo alle imprese e la potenziale criticità dovuta agli ampi margini lasciati alle Regioni. Abbiamo volutamente utilizzato il colore arancione per indicare situazioni di allerta in cui chi opera a viario titolo in questo settore deve prestare particolare attenzione.

Occorre l’assistenza di un consulente ambientale qualificato, che curi i rapporti con le Istituzioni preposte, fornisca assistenza nella predisposizione della documentazione richiesta e faccia in modo che l’impresa porti a termine con successo tutti gli adempimenti necessari. Contattaci, e quelle righe in arancione diventeranno verdi, esattamente come il verde di un semaforo che indica via libera!

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