Negli anni 90 la disciplina sull’utilizzazione agronomica dei reflui era regolata dalle “Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari”, di cui alla legge n. 574/1996, e dai “Criteri e le norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari”, di cui al DM 6 luglio 2005. Successivamente, all’interno del testo unico ambientale (D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) l’art. 112, nel riprendere sostanzialmente quanto già affermato sette anni prima (D.Lgs n. 152/1999), ha disciplinato in termini generali l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, delle acque reflue provenienti da determinate aziende , rinviando ad un futuro decreto – che il MIPAAF avrebbe dovuto emanare di lì (siamo nell’aprile del 2006) a 180 giorni – la disciplina relativa ai criteri e alle norme tecniche generali (allora parzialmente regolamentati dal quasi coevo DM 7 aprile 2006), “garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati ed in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del presente decreto”. A distanza di quasi dieci anni, il MIPAAF ha finalmente adottato tale decreto, il DM 25 febbraio 2016 che, nel mandare in pensione il vecchio DM 7 aprile 2006, ridefinisce la normativa o, per meglio dire, la integra qua e là.
Il decreto 25 febbraio 2016 disciplina i criteri e le norme tecniche generali per:
a) l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue; b) la produzione, le caratteristiche di qualità, e l’utilizzazione agronomica del digestato.
Il MIPAAF, inoltre:
• fa un rinvio – esattamente come nell’abrogato DM 7 aprile 2007 – alla disciplina di “dettaglio” delle Regioni, che entro fine estate dovranno disciplinare tali attività di utilizzazione agronomica, o in ogni caso adeguare le discipline esistenti (anche prevedendo discipline più restrittive, in ragione di particolari situazioni locali e sulla base delle indicazioni delle Autorità di bacino competenti), garantendo la tutela dei corpi idrici e del suolo, ai sensi della normativa vigente;
• ribadisce che l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque reflue e del digestato è esclusa dall’ambito di applicazione delle disposizioni relative alla gestione dei rifiuti, ma solo “qualora siano rispettati i criteri generali e le norme tecniche di utilizzazione agronomica disciplinati” nel decreto;
• fa salva la normativa concernente l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, “per quanto non previsto nel presente decreto, resta disciplinata dalla legge 11 novembre 1996, n. 574, e dal decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali del 6 luglio 2005 ”;
• accorpa nelle disposizioni generali le discipline relative alla comunicazione – che le aziende che producono e/o utilizzano effluenti di allevamento, acque reflue e digestato destinati all’utilizzazione agronomica devono presentare all’autorità competente – e al Piano di utilizzazione agronomica, che nel DM 7 aprile 2006 erano duplicate (a seconda della vulnerabilità o meno delle zone prese in considerazione), disciplinandole un po’ più nel dettaglio;
• definisce la documentazione di accompagnamento al trasporto e disciplina le regole sull’utilizzazione agronomica in zone vulnerabili da nitrati sulla falsa riga di quelle già previste dal vecchio DM, salvo integrare la prima in relazione al trasporto dello stallatico e la seconda in relazione ad alcune modalità temporali di utilizzazione agronomica, alla facoltà delle Regioni di prevedere un’organizzazione del periodo di divieto diversa , ai controlli ;
• detta nuove disposizioni in materia di sottoprodotti.
In particolare, il DM, prendendo le mosse da quanto stabilito dall’art. 52, comma 2-bis del D.L. n. 83/2012 , ha dettato i criteri per la qualificazione del digestato come sottoprodotto. In estrema sintesi, il digestato è sottoprodotto se:
a) è originato da impianti di digestione anaerobica autorizzati seconda la normativa vigente, alimentati esclusivamente con materiali e sostanze di cui all’articolo 22, comma 1;
b) è certo che sarà utilizzato a fini agronomici da parte del produttore o di terzi;
c) può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale ;
d) soddisfa i requisiti del nuovo DM, e, in particolare, quelli individuati all’allegato IX, nonché le norme igienico-sanitarie, di tutela ambientale comunque applicabili.
La parte più corposa del DM è dedicata all’utilizzazione agronomica:
a) dei reflui di allevamento, che deve avvenire in conformità ai fabbisogni quantitativi e temporali delle colture;
b) delle acque reflue, che è finalizzata al recupero delle sostanze ammendanti e fertilizzanti contenute nelle stesse, ai fini dello svolgimento di un ruolo utile per le colture;
c) del digestato.
In particolare, il DM disciplina:
• le caratteristiche e le modalità di impiego del digestato prodotto da impianti aziendali o interaziendali di digestione anaerobica alimentati esclusivamente con specifici materiali e sostanze e destinato ad utilizzazione agronomica;
• le modalità di classificazione delle operazioni di disidratazione, sedimentazione, chiarificazione, centrifugazione ed essiccatura, filtrazione, separazione solido liquido, strippaggio, nitrificazione, denitrificazione e fitodepurazione;
• le condizioni al ricorrere delle quali il digestato è equiparabile, per quanto attiene agli effetti fertilizzanti e all’efficienza di uso, ai concimi di origine chimica.
Ciò che possiamo constatare, 10 anni dopo, è che – salvo le novità relative all’utilizzazione agronomica del digestato – sostanzialmente non è cambiato nulla.
In ogni caso, sono molteplici i margini di manovra lasciati alle Regioni, e molti – di conseguenza – potrebbero essere i problemi relativi alla disparità di trattamento fra aziende che producono e/o utilizzano effluenti di allevamento, acque reflue e digestato destinati all’utilizzazione agronomica in Regioni diverse.
Inoltre si evidenziano:
• il contorto riferimento al DPR n. 59/2013 sull’autorizzazione unica ambientale.
• un interrogativo relativo alle acque di vegetazione dei frantoi oleari – materia prima per la produzione del digestato – per le quali l’art. 2, comma 4, prevede un rinvio alla legge n. 574/1996 e al DM 6 luglio 2005, “per quanto non previsto nel presente decreto”; non si poteva cogliere questo sia pur tardivo passo del ministero per provvedere ad una razionalizzazione normativa in un unico corpus?
Il risultato finale è una disciplina per niente semplice, davanti alla quale gli operatori del settore possono trovarsi inadeguati. Abbiamo evidenziato in arancione i punti dove la normativa prevede specifici obblighi in campo alle imprese e la potenziale criticità dovuta agli ampi margini lasciati alle Regioni. Abbiamo volutamente utilizzato il colore arancione per indicare situazioni di allerta in cui chi opera a viario titolo in questo settore deve prestare particolare attenzione.
Occorre l’assistenza di un consulente ambientale qualificato, che curi i rapporti con le Istituzioni preposte, fornisca assistenza nella predisposizione della documentazione richiesta e faccia in modo che l’impresa porti a termine con successo tutti gli adempimenti necessari. Contattaci, e quelle righe in arancione diventeranno verdi, esattamente come il verde di un semaforo che indica via libera!